Nel prossimo decennio, nell’Unione Europea saranno mobilitati almeno 1000 miliardi di euro in investimenti per la sostenibilità ambientale e la transizione ecologica. È il Green Deal europeo, con cui la Commissione ha finalmente intrapreso una strada chiara per rispondere alla gravissima crisi climatica in corso. Siamo già estremamente in ritardo, come ci hanno ricordato in questi anni i giovani di Fridays For Future e, se avessimo compiuto prima questa scelta di campo, oggi avremmo un pianeta meno malato e meno dipendente da petrolio, gas e carbone.
Un concetto legato al Green Deal che trovo molto convincente è quello di “giustizia climatica”, cioè la capacità di coniugare gli obiettivi di decarbonizzazione e riduzione delle emissioni e dei consumi con un’equa distribuzione dei costi di questa operazione.
Fondamentale inoltre in questo senso è stata appunto l’adozione del nuovo Fondo Sociale per il Clima, che serve a garantire un sostegno al reddito alle famiglie vulnerabili e accompagnare le micro imprese con misure e investimenti per ridurre le emissioni nei settori dei trasporti su strada e dell’edilizia, tema delicato e su cui abbiamo espresso in passato posizioni critiche. È sempre più evidente la necessità di una forte regia europea sul fronte energetico, distinguendo energie di transizione, come il gas e il nucleare, con le vere energie rinnovabili. È una chiara distinzione su cui, come progressisti, ci stiamo battendo anche affinché le risorse pubbliche vadano davvero soltanto alle fonti sostenibili, avendo come obiettivo chiaro e primario la sopravvivenza del pianeta. L’Europa, da questo punto di vista, può davvero fare la differenza a livello mondiale e non possiamo sottovalutare anche l’aspetto più politico del Green Deal: il successo della transizione ecologica, collegata alla transizione sociale e digitale dalle risorse del Next Generation EU, è una grande sfida politica. Se questa scommessa verrà vinta, potremmo dare una spinta forte a una maggiore integrazione europea, a un’Europa più democratica, unita e sovrana. La transizione climatica avrà un impatto economico e sociale importante, è inevitabile, ma se vogliamo davvero mettere in campo politiche ambiziose, saranno necessarie notevoli risorse pubbliche e private: questo è il senso del lavoro che stiamo portando avanti in Europa.
È molto importante che il prezzo della transizione ecologica venga pagato da chi può permetterselo, come i grandi soggetti inquinanti, e non da cittadini, famiglie e imprese.
In Europa abbiamo sempre provato a trovare un giusto equilibrio tra tutela dell’ambiente e la difesa degli interessi nazionali ed europei, nel quadro dell’ambizioso Green Deal europeo. Penso al Regolamento europeo sul clima, alla riforma del Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’UE (ETS), al Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), al Regolamento sulle emissioni di Co2 delle auto, al Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, ma anche alla Direttiva “Case verdi” sulla prestazione energetica degli edifici e al Regolamento sul Ripristino della Natura. L’Unione Europea deve porsi come avanguardia nel mondo con la bussola della “giustizia climatica”: coniugare la decarbonizzazione e la riduzione delle emissioni e dei consumi con un’equa distribuzione dei costi.
In questi mesi, abbiamo dovuto contrastare l’azione della destra europea e italiana che ha messo in campo vere e proprie campagne di disinformazione esclusivamente a fini elettorali, cercando di bloccare misure chiave per la messa in atto del Green Deal.
Il caso più eclatante riguarda proprio la legge sul ripristino della natura, dove la destra capitanata dal Presidente del Gruppo dei Popolari Europei, Manfred Weber, e a strascico i Gruppi dei Conservatori e di Identità e Democrazia di cui fanno parte la Lega e Fratelli d’Italia, hanno tentato di affossare la proposta di legge della Commissione Europea che ha come obiettivo quello di preservare la biodiversità e tutelare gli habitat a rischio, ripristinando almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni al 2030, del 60% al 2040 e 90% entro il 2050. Con il voto in aula abbiamo sconfitto le posizioni antiscientifiche e populiste della destra. Il Parlamento Europeo si è dimostrato per l’ennesima volta determinato nell’impegno assunto a difesa del pianeta, della biodiversità, della sicurezza alimentare, ma anche dell’economia del nostro continente, minacciata dai disastri causati dal cambiamento climatico e da modelli di sviluppo non più sostenibili.
Oltre all’importante lavoro legislativo al Parlamento Europeo, ho voluto seguire in prima persona diverse questioni che riguardano la tutela ambientale delle Regioni della circoscrizione nord-ovest, collaborando con diversi rappresentanti della società civile, delle organizzazioni ambientali del territorio e delle forze politiche locali e provinciali che hanno espresso forti preoccupazioni sull’impatto ambientale di alcuni progetti, come ad esempio la Costruzione della Tratta D Breve dell’Autostrada Pedemontana Lombarda, il rigassificatore di Vado Ligure e il Biodigestore Saliceti.